Curiosità

I fantasmi di via Bava: storia di un mistero

Nel 1900 il quotidiano La Stampa parlò della presenza di alcuni fantasmi in via Bava a Torino: sul caso lavorò anche Cesare Lombroso…

Torino è la Città Magica per eccellenza e non c’è da stupirsi che il capoluogo piemontese presenti un’infinità di storie e leggende legate al paranormale, come i fantasmi di via Bava. Questa storia venne perfino riportata in un articolo pubblicato sul quotidiano “La Stampa” il 10 novembre 1900, con il titolo “Gli spiriti devastatori di via Bava”. In questa strada, al civico numero 6, avvennero dei fenomeni misteriosi che riuscirono perfino ad attirare l’attenzione di Cesare Lombroso, il padre dell’antropologia criminale. Ma partiamo con ordine.

Il locale “infestato” era conosciuto anche “Bottiglieria Cinzano” , di proprietà dei coniugi Fumerò. I due lavoravano e dormivano nello stesso stabile, avvalendosi dell’aiuto del loro giovane figlio quattordicenne. In una sera come tante, avvennero dei fatti inspiegabili.

L’articolo del 1900

Secondo quanto riportato nello storico articolo, madre e figlio “udirono improvvisamente dei forti rumori provenienti dalla seconda sala, e […] videro con sorpresa che un lambicco di vetro pieno di liquore amaro ed alcune bottiglie lasciate su una tavola erano frantumati in modo che il liquido si era completamento sparso”.

“Mentre madre e figlio stavano cercando la causa misteriosa di quel piccolo disastro, furono entrambi sorpresi da fenomeni ben più gravi. “La casa — ci disse la signora Fumerò — parve scossa da un terremoto: tutte le sedie si misero a volare di qua o di là, disordinatamente, tutti gli utensili di cucina si misero a ballare“. L’impressione provata dalla povera signora fu tale che svenne. Allora il figlio, allibito e spaventato a sua volta, fuggì a chiamare il portiere della casa e poscia altri vicini. Questi o quelli corsero toste nel negozio e poterono ancora assistere alla ridda vertiginosa delle sedie, dello tavolo e di altri oggetti mobili”.

Immagine da: Wikimedia

L’intervento di Cesare Lombroso

Incuriosito da questi fenomeni, da bravo scienziato e scettico, Cesare Lombroso chiese alla famiglia di lasciarlo lì da solo con il maresciallo di polizia Cavallo, al fine di condurre le indagini in modo completamente oggettivo.

Entrambi notarono lo strano comportamento del gatto, un soriano di grandi dimensioni che sonnecchiava su una sedia. D’un tratto, il felino aprì gli occhi, guardò verso una damigiana e cominciò ad agitarsi. Lentamente – e in modo molto timoroso – cominciò ad avvicinarsi verso quell’angolo, soffiò e si preparò per un agguato. Balzò in quella direzione, fece il gesto di azzannare qualcosa con rabbia e tornò al suo posto. Peccato che in quel preciso punto della stanza non ci fosse assolutamente nulla.

Secondo i racconti di Lombroso, la damigiana si posò bruscamente sul tavolo senza infrangersi, ma altre bottiglie cominciarono a muoversi e ad oscillare sugli scaffali. Non notò nessun intervento “umano”, come la presenza di fili, e molte di quelle bottiglie caddero a terra senza che né lui, né il maresciallo le sfiorassero. Così anche Lombroso ammise la straordinarietà degli eventi: “I fatti esistono e io dei fatti mi vanto di essere schiavo“.

Via Bava: fantasmi o poltergeist?

Da qui le voci portano ad un bivio. C’è chi dice che i fenomeni di via Bava fossero frutto di un Poltergeist, un’esplosione di energie che si scatenano in modo molto violento in presenza di adolescenti, come appunto il figlio dei proprietari. Sembra infatti che non appena il giovane lasciò la casa per trasferirsi altrove, i fenomeni scomparvero.

Ad ogni modo, c’è una seconda ipotesi che sembra confermare la presenza di fantasmi in via Bava, o meglio, di un’anima inquieta. Qualche tempo dopo gli strani avvenimenti, i proprietari decisero di avviare alcuni lavori in cantina e, nel sottosuolo, a circa un metro, gli operai trovarono uno scheletro trafitto da un pugnale all’altezza del petto.

Sembra che la storia dietro a quel delitto venne scoperta per caso da un giovane avvocato, mentre riordinava alcune carte. Lo scheletro apparteneva a un uomo facoltoso di nome Antonio Barbero, sposato con Lorenza Mainero: i due abitarono in quello stabile nel 1842. L’uomo si innamorò di un’altra donna e la moglie, temendo di essere esclusa dal suo testamento, lo uccise e ne nascose il corpo, denunciando perfino la scomparsa del coniuge. Pentita dell’omicidio perpetrato, scrisse una lettera di confessione prima di fuggire in Francia. Dopo che i resti del signor Barbero ottennero degna sepoltura, nello stabile tornò la tranquillità.

Fonte: Archivio La Stampa
Redazione

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