Sul fronte dei prezzi, se, da un lato, è vero che il solo aver discusso di misure di contenimento ha frenato momentaneamente la speculazione, dall’altro, è evidente che, se non si darà rapidamente seguito agli annunci con meccanismi concreti, la speculazione ripartirà. Anche per questo sarà necessario mantenere e rafforzare le misure nazionali a supporto di famiglie e imprese, sia sul versante delle bollette, sia su quello del carburante, un impegno finanziario imponente che drenerà gran parte delle risorse reperibili e ci costringerà a rinviare altri provvedimenti che avremmo voluto avviare già nella prossima legge di bilancio.
Ma la nostra priorità oggi deve essere mettere un argine al caro energia e accelerare, in ogni modo, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e la produzione nazionale, perché voglio credere che dal dramma della crisi energetica possa emergere, per paradosso, anche un’occasione per l’Italia. I nostri mari possiedono giacimenti di gas che abbiamo il dovere di sfruttare appieno e la nostra Nazione, in particolare il Mezzogiorno, è il paradiso delle rinnovabili, con il suo sole, il vento, il calore della terra, le maree, i fiumi, un patrimonio di energia verde troppo spesso bloccato da burocrazia e veti incomprensibili. Insomma sono convinta che l’Italia, con un po’ di coraggio e di spirito pratico, potrebbe uscire da questa crisi più forte e autonoma di prima.
Oltre al caro energia, le famiglie italiane si ritrovano a dover fronteggiare un livello di inflazione che ha raggiunto l’11,1 per cento su base annua e ne sta erodendo inesorabilmente il potere d’acquisto, nonostante una parte di questi aumenti sia stata assorbita dalle aziende. È indispensabile intervenire con misure volte ad accrescere il reddito disponibile delle famiglie, partendo dalla riduzione delle imposte sui premi di produttività, dall’innalzamento ulteriore della soglia di esenzione dei cosiddetti fringe benefit, dal potenziamento del welfare aziendale, riuscire ad allargare la platea dei beni primari che godono dell’IVA ridotta al 5 per cento. Misure concrete che affronteremo anche con la prossima legge di bilancio, sulla quale siamo già al lavoro.
Il contesto nel quale si troverà ad agire il Governo è un contesto molto complicato, forse il più difficile dal secondo dopoguerra ad oggi. Le tensioni geopolitiche e la crisi energetica frenano la speranza di una ripresa economica post-pandemia. Le previsioni macroeconomiche per il 2023 indicano un marcato rallentamento dell’economia italiana, europea e mondiale, in un clima per di più di assoluta incertezza.
La Banca centrale europea, nel mese di settembre, ha rivisto le previsioni di crescita 2023 per l’area euro, con un taglio di ben 1,2 punti percentuali rispetto alle previsioni del mese di giugno, prevedendo una crescita di appena lo 0,9 per cento. Rallentamento e revisioni al ribasso che riguardano anche ovviamente l’andamento dell’economia italiana per il prossimo anno.
Nell’ultima nota di aggiornamento al DEF, la previsione di crescita del PIL per il 2023 si ferma allo 0,6 per cento, esattamente un quarto del 2,4 per cento previsto nel Documento di economia e finanza di aprile e le previsioni del MEF sono addirittura ottimistiche rispetto a quelle più recenti del Fondo Monetario Internazionale, secondo le quali per l’economia italiana il 2023 sarà un anno di recessione: meno 0,2 per cento, il peggior risultato tra le principali economie mondiali dopo quello della Germania. E non si tratta, purtroppo, di una congiuntura isolata, i dati sono chiari.
Negli ultimi vent’anni l’Italia è cresciuta complessivamente del 4 per cento, mentre Francia e Germania di più del 20 per cento; negli ultimi dieci anni la nostra Nazione si è collocata negli ultimi posti in Europa per crescita economica e occupazionale, con la sola eccezione del rimbalzo registrato dopo il crollo del PIL nel 2020. Non a caso dieci anni durante i quali si sono succeduti Governi deboli, eterogenei, senza un chiaro mandato popolare, incapaci di risolvere le carenze strutturali di cui soffrono l’Italia e la sua economia e di porre le basi per una crescita sostenuta e duratura.
Crescita bassa o nulla, quindi, accompagnata dall’impennata dell’inflazione che ha superato il 9 per cento nell’area euro e ha indotto la Banca centrale europea, al pari di altre banche centrali, per la prima volta dopo undici anni, a rialzare i tassi di interesse. Una decisione da molti reputata azzardata e che rischia di ripercuotersi sul credito bancario a famiglie e imprese e che si somma a quella già assunta dalla stessa Banca centrale di porre fine a partire dal 1° luglio 2022 al programma di acquisto di titoli a reddito fisso sul mercato aperto, creando una difficoltà aggiuntiva a quegli Stati membri che, come il nostro, hanno un elevato debito pubblico. Siamo dunque nel pieno di una tempesta.
La nostra imbarcazione ha subito diversi danni e gli italiani hanno affidato a noi il compito di condurre la nave in porto in questa difficilissima traversata. Eravamo consapevoli di quello che ci aspettava, come lo sono tutte le altre forze politiche, anche quelle che, governando negli ultimi dieci anni, hanno portato – perché questo dicono i numeri – un peggioramento dei principali fondamentali macroeconomici, e oggi diranno ovviamente che hanno le ricette risolutive e sono pronte a imputare al nuovo Governo le difficoltà che l’Italia affronta. Eravamo consapevoli del macigno che ci stavamo caricando sulle spalle.
Ci siamo battuti lo stesso per assumerci questa responsabilità perché, in primo luogo, non siamo persone abituate a scappare e, in secondo luogo, perché la nostra imbarcazione, l’Italia, con tutte le sue ammaccature, rimane “la nave più bella del mondo”, per citare la celebre espressione che usò la portaerei americana Independence quando incontrò la nave scuola Amerigo Vespucci. Un’imbarcazione solida alla quale nessuna meta è preclusa se decide di riprendere il viaggio. Allora noi siamo qui per tentare di ricucire le vele strappate, fissare le assi dello scafo, superare le onde che si infrangono su di noi, con la bussola delle nostre convinzioni a indicarci la rotta verso la meta prescelta e con un equipaggio che è capace di svolgere al meglio i propri compiti.
Ci è stato chiesto come intendiamo tranquillizzare gli investitori a fronte di un debito al 145 per cento del PIL, secondo in Europa soltanto a quello della Grecia. Potremmo rispondere citando alcuni fondamentali della nostra economia che rimangono solidi nonostante tutto: siamo tra le poche Nazioni europee in costante avanzo primario, vale a dire lo Stato spende meno di quanto incassa, al netto degli interessi sul debito; il risparmio privato delle famiglie italiane ha superato la soglia dei 5 mila miliardi di euro e in un clima di fiducia potrebbe sostenere gli investimenti nell’economia reale.
Ma, ancor più di questi dati, già significativi, sono importanti le potenzialità ancora inespresse che ha l’Italia. Mi sento di dire che, se questo Governo riuscisse a fare ciò che ha in mente, scommettere sull’Italia potrebbe essere non solo un investimento sicuro, ma forse addirittura un buon affare, perché l’orizzonte al quale vogliamo guardare non è il prossimo anno o la prossima scadenza elettorale. Quello che ci interessa è come sarà l’Italia tra dieci anni, e sono pronta a fare quello che va fatto, a costo di non essere compresa, a costo perfino di non venire rieletta, per essere certa di avere reso, con il mio e il nostro lavoro, il futuro di questa Nazione più agevole.
La strada per ridurre il debito non è la cieca austerità imposta negli anni passati e non sono neppure gli avventurismi finanziari più o meno creativi. La strada maestra, l’unica possibile, è la crescita economica, duratura e strutturale.
E per conseguirla siamo naturalmente aperti a favorire gli investimenti esteri: se, da un lato, contrasteremo logiche predatorie che mettano a rischio le produzioni strategiche nazionali, dall’altro, saremo aperti ad accogliere e stimolare quelle imprese straniere che sceglieranno di investire in Italia, portando sviluppo, occupazione e know-how, in una logica di benefìci reciproci.
In questo contesto si inserisce il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Fondi raccolti con l’emissione di debito comune europeo per fronteggiare crisi di portata globale. Una proposta avanzata a suo tempo dal Governo di centrodestra, con l’allora Ministro Giulio Tremonti, per anni avversata, talvolta derisa, poi attuata. Il PNRR è un’opportunità straordinaria di ammodernare l’Italia: abbiamo tutti il dovere di sfruttarla al meglio. La sfida è complessa a causa dei limiti strutturali e burocratici che da sempre rendono difficoltoso per l’Italia riuscire ad utilizzare interamente persino i fondi europei della programmazione ordinaria.
Basti pensare che la Nota di aggiornamento al DEF 2022 ha ridotto la spesa pubblica attivata dal PNRR a 15 miliardi rispetto ai 29,4 previsti nel DEF dell’aprile scorso. Il rispetto delle scadenze future richiederà ancor più attenzione, considerato che finora si sono per lo più rendicontate opere già avviate in passato, cosa che non si potrà continuare a fare nei prossimi anni. Spenderemo al meglio i 68,9 miliardi a fondo perduto e i 122,6 miliardi concessi a prestito all’Italia dal Next Generation EU, senza ritardi e senza sprechi, concordando con la Commissione europea gli aggiustamenti necessari per ottimizzare la spesa, alla luce soprattutto del rincaro dei prezzi delle materie prime e della crisi energetica, perché queste materie si affrontano con un approccio pragmatico e non con un approccio ideologico.
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